Una guerra che parla di pace senza trovarla davvero. Tra segnali confusi e trattative sottili, il futuro sembra ancora in equilibrio
Sono ormai quasi 4 anni che la Russia ha invaso l’Ucraina dando vita a un conflitto che ancora oggi non sembra avere una soluzione agevole, neppure all’orizzonte.

Quello che si sente, ancora oggi dalle parti di Kiev, è un clima sospeso che confonde più di quanto chiarisca. A ogni spiraglio segue un passo indietro, e la sensazione è quella di un mondo che parla di pace senza riuscire ancora a trasformarla in qualcosa di concreto.
Negli ultimi giorni è circolato molto il presunto piano americano in 28 punti: una bozza attribuita agli Stati Uniti che ha generato reazioni contrastanti. Mosca si è limitata a precisare che non ci sono consultazioni ufficiali, mentre Kiev lo ha definito irrealistico e lontano dalle proprie linee rosse. Una di quelle situazioni in cui tutti commentano ma nessuno si espone davvero.
La visita del segretario dell’Esercito USA Daniel Driscoll a Kiev si inserisce in questo quadro e suggerisce un tentativo di capire gli equilibri prima di eventuali mosse politiche. Le capitali europee, intanto, si mostrano compatte nel ribadire che nessuna pace imposta può sostituire una trattativa condivisa con l’Ucraina. Un messaggio chiaro arrivato da Madrid, Parigi, Tallinn e Londra.
Il tema dei beni russi congelati e le possibili ritorsioni di Mosca
Nelle ultime ore è tornato al centro anche il tema dei beni russi congelati, con l’Italia che ha espresso la propria disponibilità a usarli per sostenere Kiev.
Tajani ha parlato di necessità di una base giuridica solida, un passaggio tecnico ma essenziale per evitare contraccolpi sulla tenuta economica europea. Mosca ha reagito subito, evocando possibili ritorsioni legali se l’Unione dovesse davvero procedere su questa strada.

A ricordare quanto il conflitto resti prima di tutto umano ci ha pensato lo scambio di salme tra i due Paesi: mille corpi ucraini per trenta russi. Un gesto che mostra quanto la guerra continui a produrre un dolore sommerso che non sparisce nelle analisi geopolitiche. Dietro ogni statistica c’è una storia che non vedremo mai in un comunicato ufficiale.
Sul piano politico la distanza resta netta. Il Cremlino ripete che “ogni momento è buono” per una soluzione, ma lega questa disponibilità al riconoscimento dei territori occupati e a una futura Ucraina non allineata. Kiev, invece, difende la propria idea di pace basata su ritiro russo e confini internazionalmente riconosciuti. Due percorsi che oggi non riescono a incontrare davvero.
In assenza di una trattativa formale, il vero movimento avviene nei canali informali: emissari, contatti riservati, scambi di bozze, conversazioni lontane dai riflettori. È così che funzionano spesso i negoziati moderni. Prima si misura il margine, poi – se quel margine esiste – si costruisce un vero tavolo.
La domanda iniziale resta quindi aperta. Siamo davvero vicini alla pace? I segnali si accumulano, qualche spiraglio appare, ma manca ancora la convergenza politica che potrebbe sbloccare il quadro. Siamo forse nel punto in cui il mondo diplomatico vede il sentiero, senza avere ancora la forza di imboccarlo. Le prossime settimane diranno se questi movimenti resteranno rumore di fondo o se si trasformeranno in qualcosa di più.



